Mio padre impagliava le sedie.

papà che impaglia una sediaTra le tante cose che ho visto fare a mio padre nel corso degli anni, nonostante la sua condizione di invalidità, alcune mi hanno affascinato più di altre.
Andavamo a raccogliere alcune erbe in luoghi particolarmente paludosi, vicino ai fiumi o a fossati, erbe che non saprei neppure a quale razza appartengano, ma che una volta essiccate, erano come dei robustissimi fili adatti per “impagliare” le sedie. E lui, sempre munito di una pazienza certosina, si metteva in posizione comoda e, una ad una, prendeva le sedie rovinate, finiva di spogliare la “seduta” e poi intrecciava quei fili di erba che pian piano facevano sembrare nuove quelle vecchie sedie da cucina. Alcune ancora resistono al tempo che scorre…
Con la stessa pazienza, spogliava i rametti di salice e sapientemente faceva le ceste e i panieri (“sporte” e “panari”) per le esigenze di casa nostra e, tante volte, per alcuni amici che gliene chiedevano sia per bellezza, sia per utilità.
Io lo guardavo, con i suoi occhiali da presbite sulla punta del naso, mentre le sue mani davano forma a quegli oggetti con l’ausilio di pochi attrezzi, ma persino con la fantasia di creare disegni giocando con i colori non sempre uguali tra un salice e l’altro. Lo guardavo e lo ammiravo.
Anche con le canne -che raccoglievamo in un canneto accanto al fossato nel terreno sotto casa- avevano una loro utilità nelle mani mai stanche di mio padre. Le divideva a sottili listelli, in genere quattro per ogni canna, e con altra tecnica di intreccio, realizzava grandi ceste e una sorta di piano abbastanza grande su cui si facevano essiccare le olive e altre cose provenienti dall’orto. Le chiamavamo “catrizze”, proprio ad indicare la costruzione ad intreccio di materiali vari. Fino a non moltissimi anni fa, con questa tecnica dell’intreccio e con questo stesso materiale, si costruivano le pareti interne delle case rurali rivestendole poi con una sorta di intonaco povero costituito da calce e terriccio. Erano altri tempi.
A Lattarico, dove noi abbiamo vissuto fino a metà estate del 1967 per poi trasferirci a Montalto Uffugo, mio padre, nonostante la sua mutilazione dei piedi, dedicava molto tempo della giornata a questo tipo di attività contribuendo a tirar su una famiglia di sei figli. E quel suo modo di essere è continuato anche negli anni a venire, sebbene fossero cambiate molte cose e avesse cominciato un tipo di lavoro che lo teneva lontano dalla campagna: nella foto di qualche decennio fa, infatti, è ritratto mentre “impaglia” una sedia, ma con fili più moderni di quelli che andavamo a raccogliere in natura.
Un grande uomo, mio padre! E in questa foto ritrovata fra i ricordi del passato, rivivo con gli occhi lucidi un’immagine della sua vita a cui non pensavo da tanto tempo…

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