In nome del rinnovamento…

In nome del rinnovamento

Giorgio NapolitanoIn nome del rinnovamento che l’Italia intera sembra chiedere a gran voce, la spunta il vecchio modo di fare politica, quello che ha permesso a tanti deputati di restare incollati alle proprie poltrone per decenni senza sosta, quello che ha portato il debito pubblico a superare i duemila miliardi di euro. Giorgio Napolitano è il nuovo Presidente della Repubblica. Si, ancora lui, quello che fino a qualche giorno fa diceva che una sua eventuale rielezione sarebbe stata ridicola, quello che non se l’era sentita di affidare un incarico pieno per la formazione di un Governo e che in questi giorni dovrà necessariamente essere il garante del patto sottobanco tra Pd e Pdl per un Governo inciuciato che salvi gli interessi di tutti, destra e sinistra, spacciandosi per un Governo di larghe intese per salvare il Paese.
A rinnovarsi, probabilmente, sarà il Pd che vede dimissionari la Bindi (quella che non si poteva non candidare in Calabria perché era la Presidente del Pd), Bersani (perdente su tutti i fronti) e l’intero assetto della segreteria del partito. C’è da aspettarsi un rinnovamento vero? Chissà! Ormai non ci crede più nessuno, a parte Renzi che continua ad immaginare di essere “il nuovo”, ma che in questi ultimi giorni mi ha dato l’impressione di essere più vecchio di tanti altri.
Parliamoci chiaro: l’unico vero rinnovamento, l’unica vera rivoluzione a cui abbiamo assistito da qualche mese a questa parte, è stata l’elezione di Papa Francesco: l’unico che sta dando dimostrazione di come deve agire chi vuole davvero cambiare le cose è lui, sia con il suo atteggiamento nei confronti dei fedeli, sia con le scelte coraggiose che ha annunciato e a cui ha dato il via per un cambiamento radicale della Chiesa che rappresenta.
Ma i partiti sono un’altra cosa e il cambiamento vero può avvenire solo se il Popolo decide di “volerlo” e non solo di “chiederlo”. Potranno anche fare un inciucio stabile, che gli consenta di restare comodamente seduti in poltrona per altri cinque anni, ma quando arriverà il giorno delle prossime elezioni, se davvero questo cambiamento è necessario e sentito da parte di tutti, quello che è accaduto in questi giorni non potrà essere dimenticato, non potrà non essere tenuto in conto. E proprio rifacendomi ad un pensiero espresso nella mia precedente Riflessione Spettinata, mi auguro che in quel momento venga fuori un rigurgito vero di dissenso verso questo modo di fare politica, e non la “malattia del dimenticare presto” che ha da sempre caratterizzato gli elettori, altrimenti dovremo sopportare per chissà quanti anni ancora, sempre gli stessi partiti, sempre le stesse persone, sempre gli stessi problemi.